Il Maestro e l’Amico – Parte 3

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In un rapporto tra allievo e maestro non è necessario che tutti e due i soggetti si limitino e si trattengano reciprocamente nell’aprirsi, nel conoscersi, nel mettersi in discussione per impedire l’affiancamento delle reciproche interiorità con i loro rispettivi cammini sulla strada del cambiamento. Anche solo l’omissione di piccole parti di sé, il trattenersi per qualche motivo dal fare qualcosa da parte di uno di essi nei confronti dell’altro porterà al fraintendimento, genererà una frattura nella capacità di comunicazione dei due. Senza una spontanea e non repressa, seppur sempre rispettosa, comunicazione tra allievo e maestro il dialogo, alla base di un rapporto di docenza, per le interiorità di entrambi costruttivo, non troverà le sue condizioni di esistenza. Essere maestri non vuol dire non ascoltare mai l’allievo, ed essere allievi non è solo dire sempre sì al maestro con un cenno del capo senza nemmeno fiatare, ma essere pronti a scambiarsi spesso anche continuamente il proprio rispettivo ruolo.

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In un reale e disinteressato rapporto dialogico tra allievo e maestro, si avrà il superamento delle figure e delle implicazioni legate al caratterizzarsi di questi ruoli all’interno di un simile schema rigido. Il rapporto diverrà più fluido, da amico ad amico. I ruoli di docente e studente si verranno continuamente a sovrapporre ed a scambiare. Il rapporto di amicizia è più profondo, più confidenziale e carico di significato per l’interiorità di quello fra allievo e maestro, se ha alla sua base come presupposto ineliminabile e non evitabile la pari considerazione ed il rispetto fra i due soggetti della relazione, per cui le reciproche risorse, le esperienze maturate nel personale cammino sulla strada del cambiamento, vengono messe a disposizione l’uno dell’altro disinteressatamente. L’amico è colui il quale non pensa mai prima a sé, per sé, ma prima all’altro; è la persona che dimentica sé per l’altro.

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Il proprio personale cammino sulla strada del cambiamento non potrà che essere unicamente facilitato dalla presenza di un amico, pronto sempre a giungere in soccorso nel momento del bisogno, a ridonare la forza di combattere per i propri sogni, quando essa venga a mancare. La figura dell’altro, del maestro, che diviene a volte amico, rappresenta, nel caso in cui due esseri si sorreggano vicendevolmente e spontaneamente, siano pronti a tutto l’uno per l’altro sul proprio cammino sulla strada del cambiamento abbandonando spontaneamente ogni intenzione o atteggiamento egoistico in funzione dell’accrescimento delle reciproche interiorità, la forma più alta di rapporto che possa venirsi ad instaurare fra due esseri, superabile per intensità e valore solo dal rapporto d’amore.

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Ogni persona, nel suo cammino sulla strada del cambiamento, fa esperienza di una condizione non costante ed immutabile di apprendimento o insegnamento; si trova spesso a rivestire i panni sia dell’allievo che del maestro a seconda della soggettività altra incontrata e a volte anche del momento in cui con questa si trova ad interagire. Qualunque persona altra si incontri nella propria esistenza, per cui si possa essere a volte docente, altre semplice studente, deve essere sempre e comunque considerata amica; bisogna ad essa, alla sua interiorità approcciarsi in maniera limpida e trasparente, senza celare una riposta ricerca dell’altro, per la sua possibile intravista a posteriori utilità. L’interesse per ciò che una persona può offrire non può e non deve bastare a fare sì che da essa si sia chiamati amico.

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Il ruolo dell’amico, l’essere solidale da parte di un soggetto nei confronti di un altro, non deve portare a credere che questo implichi necessariamente la piena condiscendenza e condivisione delle proprie scelte da parte dell’altro, che ogni moto sia interiore che esteriore venga sempre approvato e mai impedito pur nella sua lampante negatività, pericolosità e dannosità per sé stessi. Ogni vero amico degno di essere chiamato con tale parola, nel caso sia mosso da un disinteressato e puro sentimento volto solo al desiderio del massimo bene per l’altro, si schiererà sempre anche contro, ed affronterà, la vicina persona colpevole di aver per un attimo smarrito la capacità di dirimere fra cosa sia positivo e negativo per sé, incurante delle conseguenze derivanti da ciò per la propria persona e per il legame con l’altro. L’amico non è quello che dice sempre sì all’altro, ma quello che per le implicazioni del legame con esso diviso, desiderando solo il suo bene è capace di dire anche no quando ve ne sia bisogno.